di Filomena Iaccarino
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Tutti
almeno una volta abbiamo provato l’ebbrezza di aver preso un caffè, una
merendina o anche solo una bottiglietta d’acqua ai distributori automatici, di
cui ormai la maggior parte di studenti ed insegnanti è dipendente.
Tutti
siamo testimoni del sovraffollamento davanti alle macchinette durante gli
intervalli: centinaia di stomaci brontolanti o di gole secche che chiedono solo
di essere in qualche modo saziati, a scapito di quei poveri disgraziati che
vogliono solo oltrepassare la grande e insormontabile barriera formatasi ai
distributori.
Non
sono una di quelle persone “dipendenti” dalle macchinette, però, se mi capita,
un caffè o un pacchetto di patatine ogni tanto lo prendo. Può capitare di avere
una fame così travolgente (e guarda caso il “paninaro” è andato via) e di
comprare un pacchetto di merendine al distributore, oppure di avere la gola
simile al deserto del Sahara e di prendere una bottiglietta d’acqua per placare
la propria sete.
Le
macchinette sono state un’ancora di salvezza non solo per molti studenti, ma
anche per gli insegnanti, che dopo due ore d’intensa spiegazione possono
riprendere energia con un bel bicchiere di caffè, a svantaggio degli studenti
(perché, diciamocelo, meglio un professore prostrato dalle ore precedenti, che
uno bello attivo e voglioso di lavorare l’ultima ora del sabato mattina!).
Ormai
la “moda” ha preso piede in tutta la nostra scuola, quindi vi consiglio di
armarvi di: tanta santa pazienza per
l’attesa della coda e alcuni imprevisti (se per caso il vostro pacchetto di
patatine rimane incastrato nel distributore, ad esempio); qualche soldino in
tasca, ovviamente, se non avete la grande fortuna di trovare già qualche
spicciolo nella macchinetta (cosa alquanto improbabile e nota solo a pochi);
per i meno fortunati, un piccone per scalare la grande montagna di studenti e
insegnanti alle macchinette nell’ora di punta.
Buona
fortuna, quindi, e speriamo che in futuro questi distributori, oltre a
patatine, biscotti, cioccolata e taralli, siano anche riforniti di hamburger e
hot dog che non sembrino messi in buste di plastica e pressati sotto vuoto, e,
se proprio vogliamo esagerare, anche di qualche tartina al caviale.
Da
oggi in poi il motto della nostra scuola non sarà più “studia, ama, vivi”, ma
“studia, ama, mangia”. Perché, in fin dei conti, come si può trovare la forza
di studiare, se prima non ci si è riforniti di cibo a sufficienza?

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